S'eni 'e Istettai
21 Settembre 2003
Stefano Schintu - Salvatore Porcu - Giacomo Satta
La partenza è alle sette del mattino, in perfetto orario. Il fuoristrada di “zio” va spedito e in appena tre ore e mezzo siamo davanti a Patrizia, compagna di Vittorio, a chiacchierare e dilungarci sulle difficoltà della grotta. Tempo di cambiarci e trotterellare verso l’ingresso e sono già le 13 del pomeriggio, decidiamo di lasciare subito dopo l’ingresso uno zaino con dell’acqua ma ben nascosto perché abbiamo saputo da Patrizia che la scaletta di alluminio, tra l’altro rotta, da loro usata per accedere alla grotta, era stata rubata qualche giorno prima!! Salvatore e Giacomo con i led ed io con la mia fedele lampada ad acetilene, ci ritroviamo pochi minuti dopo sull’orlo del primo dei pozzi, già tutti armati da Vittorio e, giacché ho già gli attrezzi, comincio a scendere...
La grotta precipita in una diaclasi a larghezza d’uomo, molto frastagliata, tanto che la corda ha bisogno di tre deviazioni per stare lontana da pericolosi spunzoni!
Il primo tiro, credo un totale di una quarantina di metri su dolomia, è piuttosto scuro ma all’incirca al primo frazionamento la cupa dolomia lascia il posto ad un più riflettente calcare: la calata, da stretta discesa in diaclasi, si trasforma in un rotondeggiante pozzo di calcare più chiaro della roccia precedente; ora la lampada rende senz’altro di più e anche lo spettacolo ne guadagna.
Pareti molto lisce, con evidenti segni di stratificazioni lungo la discesa, lo spettacolo è notevole, la lampada sembra che illumini molto di più e tutto appare ancora più bello!
Prima di arrivare al fondo, comunque, la dolomia fa altre apparizioni e in questo alternarsi di chiari e scuri raggiungiamo la fine della verticalità pura, siamo a circa 270 metri e da qua la grotta continua a scendere in maniera meno violenta tra saltini, diaclasi e strettoie.
A questa quota il pozzo scampana in un ambiente orizzontale più ampio costituito da tre o quattro gallerie fossili più ampie che visiteremo in un'altra escursione.
Una di queste però ci porta verso il seguito verticale della grotta e da qui continuiamo i nostri pozzi sempre molto agevoli e ben armati fino a quota -300 circa.
Da qua secondo le nostre mal interpretate informazioni, la grotta prosegue orizzontale fino al sifone che il Crobu superò in apnea.
In ogni caso prima del sifone c’è ancora da camminare un po’ e affrontare qualche difficoltà che si presenta ai nostri occhi sotto forma di ambienti più stretti, spesso in diaclasi mentre altre volte sono colate veramente troppo vicine che ci costringono a qualche acrobazia!
Tra una breve calata e una scaletta in alluminio, raggiungiamo la strettoia clou che mi ha fatto perdere più tempo!
Purtroppo finisco troppo in basso in una strettoia a “V” e per disincastrarmi ci metto almeno mezz’ora sotto l’occhio paziente del buon Salvatore che mi aiuta ad uscirne!
Poco più avanti un altro passaggio stretto ci impegna più che altro con i passamano dell’attrezzatura che furbescamente portavamo a mano avendoci portato solo uno zaino..”così ci muoviamo meglio...”!!!
Poco più avanti si arriva ad un bivio, ne esploriamo un lato finendo in una frana di enormi blocchi dove Salvatore tenta di cercare qualche passaggio mentre dall’altra parte si arriva ad uno slargo dove ci fermiamo a mangiare e a scarburare...
Come?Scarburare? Ehm, ce l’hai tu il carburo? ..no!!! B’è, lo zaino è uno solo...guarda in fondo ..no, nel doppio fondo... Ops.... B’è, si scopre che, prendilo tu, no, lo prendo io, il carburo è al sicuro dentro uno zaino...nel fuoristrada di Salvatore!! Orca putt.., antica esclamazione di dubbia etimologia, mi scappa, in effetti ero l’unico ad avere bisogno del carburo e forse dovevo sincerarmi che fosse veramente finito dentro lo zaino giusto! Fortunatamente ho con me la Tikka che, seppur con batterie strausate e luce molto fioca, mi permette di tornare fuori con tranquillità!
Dalla sala da pranzo sono le 17, è ora di tornare ma prima Giacomo e io decidiamo di proseguire ancora un po’...veramente lo ha deciso Giacomo e io sono andato con lui per fargli da freno a mano nel caso si voglia infilare nel sifone!!
Ci inoltriamo in ambienti più bassi dove non ci si sta in piedi e camminando bassi andiamo avanti per una sessantina di metri finché il soffitto si abbassa a tal punto che bisogna camminare carponi, fortunatamente ora il pavimento è sabbioso e le ginocchia non ne soffrono molto!
Ci fermiamo dove inizia un lago, da qui pensiamo inizino i rami allagati e noi di aggiungere umidità alle nostre ossa non abbiamo voglia, specie a quell’ora...
Scopriremo da Antonio Saba che in realtà non eravamo ancora alla quota giusta ma bisognava scendere un altro paio di pozzi di 20 metri per portarsi al livello del sifone e comunque da lì in poi ci si inizia a bagnare di brutto!
Ricongiunti con “zio” Salvatore e raccontato quello che abbiamo appena visto, ricominciamo il ritorno, Salva davanti, io dietro e Giacomo che chiude; stavolta le strettoie, affrontate nella maniera corretta, non ci fanno perdere tempo e ci troviamo in breve sulle verticali che, anche grazie ai “tiri” non troppo lunghi, non sono molto faticose e tempo quattro ore “uscimmo a riveder le stelle”...
La macchina e' vicina ma per Sassari dobbiamo aspettare ancora fino alle 2 del mattino e sotto il portone, scendendo dalla macchina, l’acido lattico inizia a farsi sentire...
Nonostante io non sia stato troppo bene, non sono stanchissimo, anzi, devo dire che è stata una bellissima esperienza, proprio, come dire... un qualcosa di profondo...!
Stefano Schintu